Il gong risonante della sfida albanese: L’Algocrazia come allarme globale!
- Arian Galdini

- Aug 22
- 6 min read
✍️ Di Arian Galdini
Silenzio programmato. L’Algoritmo che estingue le voci.
In una mattina radiosa di primavera, un mio messaggio, nato da pensiero libero e sentimento umano, fu annientato nel silenzio.
Fu allora che compresi, qualcosa aveva sequestrato la mia pagina Facebook.
La sua collocazione era stata assurdamente spostata nel mezzo dell’Oceano Atlantico del Sud.
I miei post non erano semplicemente scomparsi.
Erano stati segnalati, soffocati, sommersi, avvolti da un codice letale, calibrato per estinguere ogni traccia della mia voce.
Ricordo ancora la puntura.
Ricaricai lo schermo, e dove le mie parole avevano vissuto, apparve soltanto un’emoji beffarda di un troll anonimo, uno scherno pixelato più pesante di qualsiasi irruzione di polizia.
La mia mano tremò davanti al vuoto dello schermo.
Non era semplice censura; era annientamento.
La mia voce, la mia Albania, ridotta a un glitch nel loro codice, un fantasma divorato da una macchina che divora identità e rigetta silenzio, come se la storia stessa potesse essere riscritta da una riga di codice, come se la sfida della mia nazione potesse essere cancellata dagli annali del tempo, come se la nostra anima collettiva potesse essere esiliata in un oblio digitale.
Fu in quell’istante che compresi, le battaglie non si combattono più con i voti, con le parole, con le idee.
Si combattono in linee invisibili di codice, linee che decidono ciò che appare e ciò che affonda nell’estinzione.
Oggi puoi essere disfatto da ogni piattaforma.
Senza avviso.
Senza dibattito.
Senza accusa.
Senza nemmeno una traccia.
Questo non è vuoto.
È silenzio programmato.
Da mesi ormai, sia il mio profilo che la mia pagina ufficiale, Arian Galdini, sono sospesi in un limbo algoritmico.
E io non sono un’anomalia.
Sono presagio.
L’algoritmo non delibera.
Sostituisce.
L’Albania come banco di prova
Giorni fa, lessi un titolo: “L’Albania vuole sostituire il suo governo corrotto con l’IA.”
E lo stesso Primo Ministro, Edi Rama, dichiarò: “Un giorno, interi ministeri potrebbero essere gestiti da algoritmi. Niente corruzione. Niente favoritismi. Nessun errore umano.”
Questo non è un gioco postmoderno.
È il tentativo di sostituire la politica con la performance.
La riforma con il codice.
La rappresentanza con la pre-programmazione.
Un’algocrazia nascente.
Un governo in cui l’umano è stato congedato, perché la fiducia si è dissolta.
John Danaher avverte: l’algocrazia è governo di strutture senza volto, automatizzate e inappellabili.
Il governo diventa calcolo.
La giustizia crolla in probabilità.
Shoshana Zuboff smaschera il capitalismo della sorveglianza, dove la trasparenza non libera più, ma vela il dominio.
Evgeny Morozov è netto, la tecnologia non può guarire un sistema marcio; ne maschera la putrefazione.
E allora la domanda si alza, quando un regime divorato dalla corruzione cerca salvezza nelle macchine, stiamo assistendo a una rivoluzione, o al camuffamento perfetto dell’autoritarismo digitale?
L’Albania diventa simbolo.
Una piccola nazione con un grande esperimento: non riformare lo Stato, ma esternalizzarlo all’intelligenza artificiale.
Byung-Chul Han lo chiama la scomparsa del soggetto politico, il cittadino non è più interpellato, perché la macchina decide in silenzio.
Questo è il Simulacro del Governo, velato, ombreggiato, rivestito di neutralità, eppure intronizzato come sovranità invisibile.
Il cittadino cede all’utente.
L’utente si dissolve in un profilo.
E il profilo è gestito da un sistema cieco all’onore, sordo alla giustizia, muto davanti alla libertà.
Dal clientelismo al trollitantismo
La mia battaglia personale con Facebook non è aneddoto.
È emblema.
Rivela il patto silenzioso tra le piattaforme globali, Meta, OpenAI, Presight AI, e governi bramosi di sfuggire alla responsabilità.
Un patto per costruire un mondo dove il silenzio pesa più della parola.
Questo è il nuovo simulacro del governo.
E la parola stessa deve farsi resistenza.
Ogni riflessione, ogni atto di testimonianza, è una scheggia di voce strappata al soffocamento.
Ma il silenzio si è evoluto.
Fino a poco tempo fa, il governo di Rama si affidava a reti clientelari per mappare la fedeltà politica, e a militanti per mobilitare le folle.
Ora è emerso un esercito più invisibile: il Troll Politico.
Lo chiamo Trollitantismo.
Il trollitantismo non è trolling.
È una milizia digitale, non di carne ma di algoritmi, che arma l’ironia e l’annientamento per strangolare l’anima del dissenso, esiliare il pensiero stesso e seppellire l’agorà in un silenzio eterno.
La sua struttura poggia su quattro pilastri:
1. Annientamento coordinato. Il dissenso non viene contrastato, ma segnalato all’unisono finché il codice non lo seppellisce.
2. Bullismo centralizzato. Eserciti di profili falsi scatenano derisione, odio, umiliazione, un teatro di crudeltà digitale.
3. Consenso fabbricato. Commenti costruiti e infusi di emozioni simulate, ironia che ferisce, euforia che inganna, imitano “il popolo.”
4. Engagement come arma. Gli algoritmi amplificano il rumore, annegano la verità, seppelliscono la ragione in diluvi di emoji e annientamenti pixelati.
Questo non è dialogo.
È il furto del pensiero pubblico, la ragione annegata in un diluvio di derisione codificata e sterminio pixelato.
Foucault lo previde, il potere non colpisce più i corpi, plasma l’accettazione.
Il trollitantismo non uccide la carne.
Uccide la reputazione.
Cancella l’appartenenza.
Rende il dissenso socialmente inabitabile.
Questa è violenza semiotica.
La tribuna è ancora in piedi, ma il pubblico è svanito.
Le parole non sono vietate, le frasi vengono sostituite con emoji.
L’evoluzione del controllo:
Militanti → Clientelismo → Trollitantismo.
Questa è censura per codice, non per decreto.
E l’Albania ne è il laboratorio.
Totalitarismo software
Nel 2023, l’Albania divenne il primo Paese a usare ChatGPT per tradurre la legislazione UE. (Euractiv)
Nel maggio 2025, investì 8,8 milioni di euro nel Machine Thinking Lab di Mira Murati, sostenuto da Andreessen Horowitz. (The Recursive)
Nel febbraio 2025, firmò con Presight AI per “città intelligenti” e governance automatizzata. (Tahawultech)
Questa non è riforma.
È sostituzione.
Dalla politica ai protocolli.
Dal cittadino al server.
Come spiegano Rouvroy e Berns: il potere algoritmico non comanda; prevede, il tuo voto prima che tu lo esprima, il tuo dissenso prima che tu lo pronunci.
Non dibatte.
Non rappresenta.
Si vela da servizio, ma si incorona come sovranità, silenziosa e assoluta.
Habermas avvertì, quando l’argomentazione viene sostituita da cruscotti, la democrazia crolla in gestione tecnocratica.
Agamben lo vide più a fondo, il cittadino algoritmico non è bandito. È sterminato, cancellato dal linguaggio, dalla visibilità, dalla memoria.
Il gong della sfida albanese
È questa democrazia?
O il totalitarismo del software?
Il Rapporto NACD 2025 avverte, decisioni di immensa portata vengono già prese da sistemi automatizzati, senza mani umane.
Ciò che le corporazioni normalizzano, gli Stati fragili adottano.
E l’Albania, spogliata di contrappesi, diventa il banco di prova perfetto.
Dobbiamo forgiare una contro-architettura, l’Alleanza per la Sovranità Algoritmica dei Cittadini.
Al suo centro, trasparenza assoluta.
Ogni algoritmo che plasma la vita pubblica deve essere documentato, verificato, sorvegliato da un Difensore Digitale indipendente.
Questo riecheggia l’Articolo 22 del GDPR, che vieta decisioni che cambiano la vita prese esclusivamente da macchine.
Ma la trasparenza non basta.
La presenza umana deve ritornare.
La tecnologia deve essere ponte, non muro.
L’Albania deve creare i propri Beni Comuni dei Dati, dove i dati dei cittadini non siano merce ma patrimonio pubblico, protetto dalla legge. UNESCO (2021) lo definisce pilastro dell’IA etica.
E deve iniziare con i bambini.
A dodici anni, devono imparare non solo a programmare, ma a valutare giustizia, responsabilità, conseguenza.
In un’epoca ossessionata dall’efficienza, solo il cittadino illuminato può custodire la libertà.
E la libertà non deve mai essere delegata.
L’Albania come allarme globale
Se gli algoritmi ci zittiscono senza decreto, senza dibattito, senza voce, non siamo più cittadini.
Siamo profili. Ottimizzati. Velati. Passivi.
Ciò che un tempo era libertà diventa un’opzione mai concessa.
Allora domandiamo ad alta voce, con la forza di un gong:
Dove giace il cittadino, silenziato dal codice?
Dove stanno i nostri diritti, sterminati dagli algoritmi?
Dove si nasconde la responsabilità, sepolta nel ronzio gelido di server inespugnabili, sorda ai gridi umani di giustizia, cieca alle lezioni della storia, muta davanti alla chiamata della libertà?
Un bot può avere coscienza?
Un algoritmo può essere processato?
Un server può essere convocato in parlamento?
Un’API può essere condannata?
Questo è il patto silenzioso: Meta, OpenAI, Presight AI, intronizzate come sovrane, che scrivono obbedienza in nome dell’efficienza.
Se esiste un patto, silenzioso, ombreggiato, eppure potente, tra governi corrotti e tecnologie onnipotenti, allora affrontiamo la nuova autarchia, l’autocrazia del codice alleata al potere.
Questa non è un’ipotesi.
Si sta formando ora.
E l’Albania, piccola, fragile, esposta, ne è diventata il banco di prova.
Se non alziamo le nostre voci oggi, domani non resterà più nessuna voce.
Se non riconosciamo che il potere ha cambiato forma, dal volto al codice,
dall’umano alla rete, dalla rappresentanza alla performance, vivremo come esseri statistici in un ordine simulato di controllo totale.
Il gong risonante
L’Albania non è soltanto un Paese.
L’Albania è il gong risonante della sfida, un richiamo forgiato in secoli di ribellione incrollabile, che infrange il silenzio di un mondo incatenato dalle catene di ferro del codice, echeggiando attraverso montagne, oceani e nel midollo stesso della storia.
E la scelta, ribellione o silenzio, deve essere fatta ora.
Per noi stessi.
Per la democrazia.
Per l’umanità.
Per la libertà, che muore quando le parole svaniscono, quando i pensieri vengono cancellati, quando una nazione diventa prototipo del dominio algoritmico.
Ora è il momento di non tacere mai più.
L’Albania non è soltanto terra.
È allarme.
È richiamo.
È sfida.
E la scelta deve essere fatta ora, per la democrazia, per la libertà, per l’umanità.
Arian Galdini
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